Primo

Mi piace scrivere, credo sia l’unica cosa che sono realmente in grado di fare anche senza troppi sforzi. Ero brava nei temi, incapace di sintesi: scrivevo sempre tantissimo fino a farmi dolere la mano.

Ho sempre avuto un diario da che ricordi. C’è stato quello rosa con i pupazzi disegnati quando ero bambina, poi quello verde con l’immagine astratta da pre-adolescente. Entrambi avevano il lucchetto. Rinunciando al lucchetto, ho optato poi per dei quaderni colorati con la spirale bianca: sono stati i miei compagni fedeli nella prima parte dell’adolescenza. Infine una piccola agenda con dei fiori in rilievo che ho usato dalla fine del liceo e per tutta l’università.

Scrivere a penna mi piace, mi dà un senso di unione con il passato. Anche se non credo usassero le Bic blu nell’antichità, ma diciamo che mi lascio suggestionare dal piccolo fruscio emesso dalla penna che tocca il foglio freneticamente e delle pagine che girano.

Se dovessi raccontare di qualcosa che scrivevo sui miei diari, non saprei dirvi nemmeno mezza parola. Non ricordo niente. Se li rileggessi oggi penso faticherei a riconoscermi, soprattutto con quelli dell’adolescenza.

Contemporaneamente, ho sempre avuto dei supporti virtuali: il mio primissimo blog era quello collegato all’account di MSN. Sarà stato il 2006/2007. Cambiando colori e scritte, aggiungendo gif animate e sfondi, ho imparato inconsapevolmente le basi del linguaggio HTML. Dal mio punto di vista stavo solo rendendo il mio blog più carino. Ci penso spesso. Anche qui non ho assolutamente ricordi di cosa scrivessi.

Nel periodo che coetanei e coetanee della sottoscritta chiamiamo periodo Tumblr, nei primi anni ’10 del 2000, era proprio Tumblr che usavo. Frasi pseudo filosofiche che venivano repostate all’infinito, immagini aesthetic, disagi di vario genere tipici dell’adolescenza. Un bel periodo, comunque. Almeno a posteriori.

Dunque questo è il mio terzo blog. Gli altri due sono andati persi, e forse è una fortuna (visto l’alto tasso di cringe).

Non ho un epilogo preciso a questo primo interventoin realtà non ce l’ho mai. Non sono brava con i finali: non mi piace arrivare alla fine di un libro, di una serie o di un film, perché so che mi mancheranno le storie, le ambientazioni, i personaggi. Il mio problema quando scrivo articoli è sempre nella conclusione, perché non so mai come chiudere in modo soddisfacente.

E ho problemi anche con le vicende personali: quando inizio un nuovo percorso sono sempre un pospaventata, ma finirlo è la cosa che mi terrorizza veramente. O meglio: è l’attesa della fine, il problema. Quando le cose finiscono in modo naturale nemmeno ci faccio caso. L’ultima volta che ho scritto su una pagina di diario, l’ultima volta che ho mangiato quel lecca lecca che mi piaceva tanto (nello specifico: sto pensando a quello delle Spice Girls con dentro la gomma da masticare), l’ultima volta che qualcuno mi ha presa in braccio da piccola. Con naturalezza, è finita così. Forse triste da pensare, ma non traumaticoove trauma viene inteso comeEmozione improvvisa e violenta, capace di provocare un’alterazione permanente nell’attività psichica; estens., emozione molto forte” (cit. Oxford Languages).

Quelli brutti sono i finali di cui si ha consapevolezza: l’ultimo giorno di scuola, l’ultima lezione dell’ultimo semestre di università, l’ultima notte nella casa che stai per lasciare, le ultime ore di un giorno speciale che volge al termine, l’ultima passeggiata nel posto in cui hai camminato per tutta la vita sapendo che dall’indomani sarà tutto cambiatoin quei momenti lì, un secondo prima della fine, si concentrano ricordi, paure, nostalgie preventive. E quindi si prova ad allungare il momento, a goderselo un podi più sperando di imprimere sulla pelle quelle sensazioni, pur sapendo che si dovranno lasciare andare.

Leave a Reply